Che il sindacato non brillasse in tutela del lavoratore lo si è capito da un pezzo, almeno da dopo Di Vittorio e Brodolini, ma che fosse letteralmente imbecille (dal latino: sine baculum, che vuol dire senza bastone, ovvero un cieco senza bastone che, dunque, brancola nel buio) lo si capisce ogni giorno che passa e nel mentre che si erge alla suprema difesa dei diritti dei lavoratori.
Un impiegato di Poste Italiane, infatti, cui gli si riconosca il diritto all'indennità di mensa per il turno che svolge, dovrebbe pranzare con 3 euro, tanto è il controvalore del buono pasto che l'azienda distribuisce ai propri dipendenti impegnati in turni che prevedano l'orario di lavoro concomitante a quello del pranzo di un comune mortale, all'incirca dalle 13 alle 14.
Come se non bastasse, il retro del buono pasto contiene l'indicazione che esso "non è cumulabile", evidentemente, con altro buono pasto, per raggiungere - che sò! - la strabiliante somma di 6 euro, o di 9 euro, mediante i quali si potrebbe godere di un pasto assolutamente abnorme e, dunque, deleterio per l'efficienza lavorativa del dipendente che, poi, c'è il rischio che si addormenti sul luogo di lavoro a causa di difficoltà digestive per il troppo mangiare. Meglio, dunque, praticare le più efficienti misure di sicurezza sul lavoro, tenendo il dipendente quasi a digiuno (cosa si può mangiare con 3 euro?), così si evitano rischi per la sicurezza.
L'idea, per la verità, non è nuova, se è vero, come è vero, che anche Napoleone, nella campagna d'Italia, teneva i soldati della sua armata raccogliticcia a digiuno fin da due giorni prima delle battaglie importanti, con lo scopo di renderli più determinati nell'assalto del nemico.
E tanto deve aver pensato anche Poste Italiane, con il fido consenso del sindacato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento