lunedì 31 marzo 2008

Lettera a un fotografo mai nato

Caro amico, non correre dietro alle macchine, né agli obiettivi. E’ vero che servono, ma la foto la devi vedere tu, e soprattutto la tua mente deve avere qualcosa da raccontare. Mario Giacomelli, mio conterraneo, lo dimostra.
Personalmente ho cominciato nel 1968 e prendevo di nascosto la Kodak di babbo (un cassettone 6×6 del 1950, senza diaframma e senza fuoco) e andavo a riprendere i capannoni industriali in costruzione e quelli abbandonati per le ristrutturazioni industriali selvagge di allora. Poca cosa, certo, quando facevo 12 scatti al trimestre era già tanto, non si scattava a vanvera come ora, e le stampe erano per contatto, quindi foto microscopiche da cm 6×6, ma mi sono rimasti alcuni negativi che conservo come cimeli. Le brutture della nostra società mi attraggono tuttora, non perché sono un maniaco del brutto, ma perché mettono in risalto le contraddizioni di quanto ci presentano i politici, i giornalisti e gli imbonitori di turno del sistema, mentre la realtà manipolata dall’uomo è tutt’altra cosa.
Poi nell’estate del 1971 sono andato in vacanza a Parigi e Londra, con un biglietto di treno andata e ritorno, dormivo nella sala d’attesa della stazione insieme ai barboni che arrivavano la sera tardi, pesanti dei loro fardelli di buste attorcigliate. Avevo una vecchia Zorki russa a telemetro 35 mm prestatami da una zia, e riprendevo di nascosto i miei compagni di pavimento, dormendo come loro su fogli di giornale. Alle cinque di mattino venivano i vigilantes e cacciavano questi poveri senza casa, e qualche scatto di nascosto l’ho fatto pure a loro (io ero un privilegiato, per loro, a me non potevano cacciarmi, perché avevo il “titolo” di viaggio) . Da allora devo dire che a volte ha preso il sopravvento il tecnicismo, anche se le riviste di fotografia erano pochissimo diffuse, e non come ora che hanno omogeneizzato le menti dei fotografi in una corsa insensata all’ultimo pixel.
Dopo è arrivata la Exakta VX-1000 sempre prestata, nel 1971, (senza esposimetro) cui è seguita una Exakta RTL-1000 (con esposimetro, ma tutt’altro che preciso, faceva l’ossido nel vano batterie). Avevo un obiettivo 29 mm con una definizione da Hasselblad (ma barilottava ai bordi), un 100 mm, magnifico per i ritratti, ma troppo morbido per i dettagli, e poi un 200 mm con duplicatore di focale. Tutta roba della ex DDR (Dresda, Germania Est), ottiche per me insuperabili anche ora che uso Nikon da un pezzo.
Sviluppavo, naturalmente b/n, con un Durst M601 con obiettivo Schneider-Componon 50mm f.1,4, anche questo eccezionale come definizione.
Poi nel 1983 ho preso una FE2 (i soldi per la F2 non li avevo) con il 20mm f.3,5, che uso entrambi tutt’ora. E poi … ecc..
Mi ero innamorato del digitale appena apparso nel 1996, ma la Canon faceva una fotocamera grossa come una mezza fila di pane, troppo brutta, che arrivava alla bellezza di 1,1 Mp e con che colori poi ti lascio immaginare. Poi, dopo un lungo periodo di osservazione sono approdato ad una digitale compatta Nikon (buona per il sensore, ma ottica barilottante) e poi ad una compatta Panasonic, attratto dallo Zeiss, che è risultato discreto (non poi così eccezionale), ma il sensore fa la grana grossa anche in pieno sole.Ora sto rispolverando l’anticaglia Nikon, che mi pare ancora insuperata dalle compatte digitali e anche da alcune reflex pure discrete della Nikon. In pratica FE2 ed FM2, con PC 28 mm f.3,5, 15 mm f.3,5, il vecchio 20 mm f.3,5, un nuovissimo PC micro-Nikkor 85mm f/2.8D Tilt&Shift , e altri come 135 mm, 500 mm a specchio, ecc..Solo che mi tocca scansire le pellicole per farne dei files da maneggiare al computer e stampare non più in camera oscura, in quanto non sono attrezzato per il colore.Il succo di questo vaneggiamento (direte …), è che non vado più dietro alle apparecchiature, ma cerco dei soggetti da raccontare, come la bruttezza delle nostre città (per la bellezza è facile, basta bazzicare i quartieri bene), l’ansia delle persone per strada, e le frattaglie della vita quotidiana, come l’ombra ondulante di un discendente dell’acqua piovana sul muro al tramonto, o il sotto dei TIR.
Vedo tante belle foto sul web, ma che non dicono niente. Nessuno, o quasi, fotografa più le persone, e ciò è uno specchio dei tempi. Un pò la privacy, un pò la poca pazienza o timidezza dei fotografi, un pò la sciatteria di andare in giro con macchine vistose alle quali i soggetti si sottraggono. Di fatto se si vedono foto di persone, spesso sono prese da lontano con supertele. C’è stato un periodo negli anni ‘70 in cui andavo nei mercati delle cittadine di campagna con la RTL-1000 e il 29 mm a fotografare da un metro le persone nella calca tipica dei mercati, tenendo la macchina con fuoco su infinito e diaframma abbastanza chiuso, scattando mentre tenevo la macchina non davanti al viso, ma su una spalla, quindi senza guardare attraverso il mirino, per non dare l’impressione che stessi riprendendo. Ne sono venute foto con l’inquadratura un pò sgarruppata, naturalmente, ma molto espressive: volti rugosi cotti dal sole, abbigliamenti da contadini in gita domenicale, donne in abito nero e fazzoletto in testa a lutto.
Ci vuole coraggio a riprendere le persone da vicino. Devi entrare in colloquio con esse, in modo che la tua presenza con quell'arnese strano davanti al naso che è la fotocamera appaia come una cosa familiare, che fa quasi parte di quell'ambiente, e così tra una chiacchiera e un sorriso puoi, ammiccando amichevolmente, fare qualche scatto naturale, senza che si mettano in posa.
Un altro periodo andavo a fotografare le persone nei tavoli all’aperto dei ristoranti, mentre imboccavano il cibo con la forchetta: non hai idea di quanto siamo simili agli animali nell’espressione bestiale di azzannare un boccone. La testa si protende in avanti, le labbra e le guance sono tirate indietro, gli occhi sono quasi strabici per vedere da vicinissimo, i denti sono scoperti, le narici del naso si deformano, le sopraciglia si aggrottano.
Francamente mi pare che ci sia molto da raccontare se solo si uscisse dall’ovvio.Per cui, direi, frena la corsa alle macchine, va bene anche un fondo di bicchiere (Giacomelli si faceva le ottiche da solo, con l’aiuto di un fabbro, eppure i soldi non gli mancavano). La fotografia sta tutta li. Riprendere ciò che non si vede ad uno sguardo casuale. E soprattutto farsi una traccia di quel che si vuole riprendere, secondo un personale modo di sentire la realtà che ci circonda, che non è una realtà unica e a "tutto campo", ma che è la tua realtà.

domenica 30 marzo 2008

Condominio romano



La corte di un condominio romano costruito dai palazzinari negli anni '60-70, con le personalizzazioni degli utenti, ai quali era concesso solo questo nel determinare il proprio ambiente di vita. Ma, si sa ... non è che oggi sia cambiato molto .... Vorranno i contendenti alle elezioni politiche 2008 fare in modo che nei piani regolatori sia prevista la facoltà per i cittadini di determinare le manipolazioni del proprio spazio di vita, secondo la propria cultura, anzichè imporre schifezze di questo tipo in cui l'uomo viene ridotto ad un animale in cattività che può solo, al pari di un coniglio in gabbia, raspare con i piedi la poca paglia che c'è in terra per spostarla un pò più in la?

sabato 29 marzo 2008

Stipendi ai politici e polizza di responsabilità

Prendo spunto dalle proposte che in questa ennesima campagna elettorale del 2008 vengono da più parti avanzate in merito alla necessità di ridurre i compensi dei politici.
Il problema è che, mentre l'usciere come il dirigente di una struttura ha un contratto di lavoro in cui sono definite le mansioni e qualcuno gli tira le orecchie se non le svolge, per un sindaco, come per un assessore, il mansionario non c'è come, d'altronde, non c'è nemmeno per il presidente del Consiglio dei ministri, a meno che non si voglia camuffare il programma elettorale con cui è stato eletto per una specie di bibbia del da farsi.
Se uno mi dice che è il più bravo della categoria (leggi: candidati a sindaco o altra carica) e farà "questo e quello" e io, per fiducia personale, per credibilità delle proposte, o semplicemente per ignoranza degli argomenti che propone, gli do il voto, dovrebbe pur esserci un sistema, al termine del mandato, o strada facendo (che sarebbe meglio), per verificare la coerenza tra il detto e il fatto, come avviene nei "sistemi qualità aziendali".
Ad oggi questo sistema di controllo dell'operato di un sindaco non c'è, per cui il candidato può fare qualunque promessa agli elettori, beninteso, purché sia un pò credibile, se no l'opposizione (e i giornali, si spera, se non sono "addomesticati") ci ride sopra.

Si potrebbe "pagare" un sindaco anche un milione di euro l'anno (per un comune di 100 mila abitanti) se una verifica coerente del suo mandato dicesse che ha realizzato quanto promesso ma, in caso contrario, dovrebbe essere il sindaco fallace a rimborsare alla comunità lo stipendio percepito. Anzi, direi che, proprio per il fatto che il candidato mi ha promesso una certa quantità di cose che a me sembravano necessarie per cui gli ho dato il voto, se al termine del mandato quelle cose non le ha fatte, o le ha fatte male, o ne ha fatte che non servivano, il sindaco dovrebbe non solo restituire gli stipendi percepiti ma dovrebbe pagare per i danni che ha arrecato alla comunità. Quindi non già un semplice zero a zero, palla al centro ma come un vero e proprio autogol.

Due sistemi politici ritenuti democratici
Spesso noi lodiamo due sistemi politici che la storia ci ha tramandato come più alte espressioni di potere del popolo, e cioè la democrazia greca e il comune medievale, e li portiamo a sostegno delle nostre tesi democratiche, ma ci dimentichiamo delle loro particolarità.
Nella democrazia greca, il potere decisionale era assembleare, e non era affatto esteso a tutti i cittadini, ma solo agli uomini liberi maschi (e non agli schiavi, che non erano considerati cittadini) e non tutti poiché tra questi venivano esclusi i nullatenenti (gli analfabeti non esistevano ancora in quella società in cui lo scrivere non era pratica corrente nemmeno tra i filosofi). E la ragione era semplice: chi non ha proprietà da amministrare non conosce le questioni che si dovranno trattare nell’assemblea per cui è necessario che se ne stiano a casa poiché potrebbero influenzare negativamente le decisioni dal momento che a loro non costa niente appoggiare una decisione oppure un’altra e quindi il loro voto potrebbe essere “comprato” facilmente da qualche membro dell’assemblea a sostegno dei propri interessi. Alla fine di questo processo di esclusione rimaneva nell’assemblea solo un 10% scarso dei membri della comunità (che non erano certo lavoratori) per decidere, tutto sommato, di poche e limitate questioni.
Nel comune medievale il potere decisionale avveniva in una assemblea simile a quella greca, ma venivano ammessi anche i titolari di bottega, e cioè gli artigiani, mentre ne erano ancora esclusi i commercianti, che all’epoca erano numericamente pochi, e genericamente mal visti dalla popolazione e dalle autorità. Per di più il podestà, equivalente al sindaco di oggi, veniva scelto tra persone di fiducia con una riconosciuta capacità amministrativa, al quale veniva chiesto di depositare una cauzione rilevante prima di assumere il mandato, al termine del quale, se le cose erano andate bene, gli veniva restituita raddoppiata, altrimenti la cauzione veniva trattenuta dalla comunità a titolo di rimborso dei danni, mentre se questi erano stati ingenti si arrivava perfino all’incarceramento o alla esecuzione capitale, e perfino al linciaggio da parte del popolo infuriato.
In sostanza, la democrazia greca era fondata sul fatto che i membri chiamati a decidere conoscessero i problemi da trattare, mentre nel comune medievale si introdusse un sistema di controllo dell’operato della più alta carica locale, permanendo in entrambi i sistemi una partecipazione limitata ad una piccola frazione della popolazione, cosa ancora in uso all’atto della fondazione della cosiddetta democrazia più grande del mondo, cioè gli Stadi Uniti d’America, dove un pugno di avvocati decise per qualche decina di milioni di abitanti.

Oggi
La democrazia greca fiorì nel IV secolo avanti Cristo e il comune medievale nel XIII secolo, mentre oggi, a distanza di 700 anni, la situazione è cambiata e, tuttavia, si pretende di richiamarsi ad essi.
Oggi, infatti, la partecipazione al voto è stata estesa a tutti i cittadini maggiorenni, e la fiducia dei cittadini viene data non su una reale competenza negli argomenti proposti dal programma elettorale del sindaco, poiché almeno i due terzi dei cittadini sono intenti nella loro vita ad occuparsi di altro, come il produrre un reddito, allevare i figli, e altre incombenze quotidiane, e a questi non si può imputare la mancanza di partecipazione. Se già Platone lamentava l’annacquamento del contenuto delle decisioni, definendo la democrazia “il potere dei peggiori”, oggi, con l’estensione del voto la cosa è peggiorata molto. Per il controllo sull’operato del sindaco, certo, non è il caso di applicare i metodi estremi della società comunale, ma qualcosa di simile dovrebbe studiarsi.

Ad esempio, perché il sindaco non è chiamato a rifondere i danni causati dal suo operato, in analogia a quanto viene chiesto ai professionisti che sono tenuti a stipulare una polizza di assicurazione che copra i danni arrecati al cliente in caso di cattiva prestazione professionale?
E’ anche vero che oggi non c’è solo l’opposizione politica (quando c’è, e quando non si inventano “inciuci” o “larghe intese”) a controllare l’operato degli eletti, ma ci sono pure i gionali, le associazioni di cittadini e i comitati spontanei, ma la fatica che fanno questi generalmente si rivela assai vana proprio in mancanza di un “codice etico” di comportamento condiviso e concordato in anticipo e, se possibile, tradotto in norme di legge, mediante il quale la partecipazione possa essere effettiva e non fittizia come oggi.
E qui si apre un discorso tutto incentrato sulla autoreferenzialità della politica rispetto alle forze sociali che sarebbe lungo sintetizzare in poche righe.

Rimane, tuttavia, la considerazione che la democrazia, intesa come sistema di potere, non è riuscita (come pure osservava il sociologo Max Weber un secolo fa), nonostante oltre due secoli di rodaggio fino ad oggi, e cioè dal tempo della rivoluzione francese, a mantenere le promesse essenziali cui tutti i candidati ad una qualsiasi carica di governo si rifanno, ovvero l’uguaglianza, le pari opportunità di miglioramento di vita, la riduzione della povertà e via di seguito.

La posizione della Chiesa sulla povertà


Divieto di sosta !!! Circolare, circolare ...