mercoledì 16 aprile 2008

La Cina è vicina ... mamma li turchi!

Senza conoscere un solo ideogramma ho fatto qualche saggio nei siti di lingua cinese. Una pagina su due ha la desinenza “gov.cn”: forse indica che sono controllate dal governo? A prima vista si direbbe di si, in quanto i siti militari, ad esempio, sono ad accesso controllato, per cui le immagini raramente vengono fatte vedere in alta definizione, e più spesso sono sostituite dal logo del webmaster.
Quel che stupisce, invece, ma c’era da aspettarselo, è che tutto quanto abbiamo criticato nel nostro occidente sul ruolo destabilizzante della modernità e dei media c’è, pari pari, anche da loro. Pubblicità infarcita di sesso, atteggiamenti esibizionistici, protensione all’io più marcato.
Se si osservano siti non commerciali, invece, viene fuori una civiltà fatta di piccole cose come abiti dimessi, case non belle, anziani e bambini nei loro ambienti domestici essenziali (o per lo meno a noi sembrano essenziali).
Una Cina che guarda ad occidente per tanti aspetti, come non era mai accaduto nella sua storia trimillenaria, una Cina per la quale fino a ieri l’Europa non era che una modesta penisola del continente eurasiatico, come la penisola indiana, come la penisola indocinese, una penisola che si trova ad occidente della congiungente il Mar Baltico con il Mare Adriatico o, se vogliamo essere generosi, della congiungente il Mar Baltico con il Mar Nero. Una Cina che con Mao aveva rivoluzionato il modo di leggere la realtà politica ed economica, con una particolare attenzione al fare e all’essere, e con una forte impronta al “miglioramento continuo”, che i giapponesi venivano chiamando Kaizen, e che in Europa non arrivò che nel 1984. Una Cina che, anche nei visi delle modelle, imita le dive delle passerelle europee, evitando i tratti fortemente cinesi e, ancor più, quelli mongoli.
E così importa modelli di vita che non aveva mai cercato prima di 30 anni fa. Modelli che non hanno radicamento nel paese. E la molla che ha fatto scattare tutto ciò, a me pare doversi cercare nella vanità, vero elemento destabilizzante innestato bruscamente nel sistema di potere civile e religioso, che per loro è la stessa cosa, del confucianesimo, con lo scopo di modernizzare il paese e, specie dopo la morte di Mao, per avviare un’economia capitalistica, anche se a direzione centralizzata.

Certo, la “naturale” sottomissione confuciana del singolo alle gerarchie di villaggio cominciava a pesare, specie dopo la rivoluzione culturale, ma aver soppiantato quel modello con uno che ai più anziani potrebbe sembrare importato direttamente da Marte non sembra foriero di belle cose. E’ vero che solo un terzo della popolazione cinese vive la modernità, ma è sempre una massa pari all’Europa dei 25, cioè mezzo miliardo di anime. E mentre l’Europa è alle prese con la modernità da oltre 2 secoli, ed ha potuto sperimentare qualche dispositivo alleviatore e metabolizzare qualche “effetto collaterale”, la Cina lo è solo da 30 anni. Su una sola generazione cinese si stanno accumulando problemi che l'Europa ha potuto diluire su sette generazioni. E il tutto non è solo questione di numeri o di know-how, ma viene investita la naturale capacità di assorbimento dei cambiamenti da parte delle comunità umane e di tutto il sistema biologico e geologico che ci sta intorno.
Se Spengler potesse aggiungere un capitolo di aggiornamento al suo libro maggiore, su questo boom della Cina, forse direbbe ancora che l’occidente è dappertutto e che il tramonto di questa civiltà è planetario, ma con toni più decisi che nel 1917. Ci sono tutti i segni che l’imminenza di questo tramonto sia da estendersi in ogni angolo della terra: decine e decine di megalopoli abitate da decine di milioni di presunti cittadini che sembrano ancora peggio dei diseredati della terra nell’Inghilterra vittoriana che non gli ordinati abitanti di una polis greca.
Invece di popoli ordinati e coerenti con il proprio territorio dal quale traggono le risorse materiali e spirituali, si hanno parassiti sradicati da ogni cultura e da ogni morale, salvo quella minima di riconoscere nell’altro la pura animalità per tenersene alla larga, come negli stadi attuali che ricordano la sete di sangue dei giochi gladiatori. Grandi popoli, un tempo, oggi dispersi ai quattro angoli del pianeta in cerca di fortuna o, più semplicemente, di un legittimo benessere che nessun paese ospitante potrà dargli. Questo è il processo spirituale ultimo di una civiltà – dice Spengler. Ovviamente la fine non è cronologicamente prevedibile, poiché può dipendere da cause accidentali che possono far evolvere assai bruscamente una situazione che sembrava stabilizzata.
E la valanga di un paese che, misurato con il Pil, cresce del 10-11% all’anno e questo, ormai, da oltre 10 anni, non può che destare qualche perplessità, specie se sommato al +9% del Pil dell’India, e al +4% del Pil del Sud-Est Asiatico (che da solo ha la stessa popolazione ed estensione dell’Europa dei 25). Basti pensare alla recentissima “rivolta del pane” scoppiata in parecchi paesi in tutto il mondo, dalla Thailandia, all’Egitto, dal Bangladesh all’Argentina, dovuta all’impiego delle risorse alimentari per farne combustibile per autotrazione, o come merce di scambio internazionale per ottenere petrolio, che ha fatto alzare i prezzi degli alimenti base anche del 50% in pochi mesi.
Non è il caso di ipotizzare un termine a questo caos, in quanto ci siamo dentro fino al collo, e annaspiamo come dannati in cerca di soluzioni tecnologiche o finanziarie che risolvono solo momentaneamente quel problema, ma che ne innesca altri la cui evidenza a volte viene alla luce non subito ma solo dopo qualche anno o decennio, e che "col senno del poi" diremo che sono peggiori dei mali che allora pretendevano di curare.
Anche le Olimpiadi, un tempo “giochi di capacità fisica e mentale tra persone”, ma che da un secolo sono solo una vetrina delle capacità tecnologiche del paese ospitante, non sembrano aiutare la Cina ad inserirsi tra le nazioni civili, soprattutto per l’ostilità di queste che vedono in quel +11% del Pil, un pericolo, ma prendendo a pretesto la questione tibetana. Ma pensate, se la Cina dovesse interferire nelle rivendicazioni di autonomia della Sardegna, o della Corsica, o dei Paesi Baschi, o dell’Irlanda del Nord, o della Vallonia, tanto per fare qualche esempio in casa nostra, cosa potremmo dire?
Intanto, al termine del 2007 la Cina ha superato gli USA in numero di connessioni internet.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao,
a parte che il Tibet non è sempre stato cinese,una differenza con la sardegna o sicilia c'è: noi agli indipendentisti sardi o siculi non gli spariamo mica....

ot
ti ringrazio della visita,ma toscanaccio quale sono non ho capito bene se quello che hai scritto, anche giurando,non fosse una sottile presa in giro.....
che,nel caso, ovviamente accetto,non posso pretendere di sfottere gli altri senza che mi sia resa pariglia.....

cmq per l'immagini seguirò il tuo consiglio. Ho provato anche con photoshop ma il problema del colore esiste ugualmente.

saluti
Sarc.
http://sarcastycon.wordpress.com

Pacoloio ha detto...

E t'ho capito che non gli spariamo noi ... sono loro che sparano. Abbiamo mai capito le relazioni tra movimenti indipendentisti sardi e suculi e la malavita sarda e sicula? Ricordi nei primi anni '60 in Trentino saltava ogni tanto un traliccio dell'alta tensione? Chi sa che non ci fosse dietro lo zampino dei rivendicazionisti austriaci!!! E comunque, i Paesi Baschi sparano ancora, a Belfast e Londonderry s'è sparato fino a ieri e in Corsica ogni tanto ci provano. Non ho mai sentito un governo parlare a favore dei tettoristi. Eppure i Paesi Baschi non parlano nemmeno una lingua indoeuropea, segno che la loro cultura non è quella delle culture romanze, ma che è precedente addirittura alla diffusione del celtismo, quindi almeno 1500 anni a.C.. E' giusto che debbano stare in una Spagna che loro sentono estranea? Ma a un certo punto bisogna anche darci un taglio e, secondo me, starsene sotto l'ombrello delle nazioni, sempre che queste non facciano pulizia culturale o etnica come la Cina in Tibet, o l'Italia in Trentino e in Istria come al tempo del fascismo, che catapultò colà migliaia di meridionali mettendoli a capo di municipi e posti di responsabilità, e sostituendo i vecchi nomi di città e perfino i cognomi delle persone con nomi dal suono italiano. E non credere che il duce non sparava in Trentino o in Istria, tanto che appena hanno potuto, almeno in Istria, ce l'hanno fatta pagare con le foibe e altre belle amenità, non perchè loro erano comunisti.